VICENZA

Un’altro ramo Pasini si ebbe da Pasino dal Pozzo, originario di Milano e trasferito a Vicenza nel 1450. Da lui discese un certo Pace Pasini nato a Vicenza il 17 giugno 1583 e morto a Padova nel 1644.

Dal libro “Biblioteca e storia di quegli scrittori così della città come del territorio di Vicenza, scritto da Angiolgabriello Di Santa Maria, pubblicato nel 1779 in Vicenza, troviamo le seguenti importanti informazioni:

 

La stravagante curiosa vita di Pace tratta l’abbiamo e dalle “Glorie degl’incontri” e dall’ “Abate Papadopoli”, ove è distesa; e da noi si offre in Epilogo.

Vorrebbono i primi, che la famiglia di esso si appelli Pasini da un certo Pasino dal Pozzo, che abbandonata nel 1450 Milano, si trasferì ad abitare a Vicenza, e da cui discende quel Pietro, che nel 1509 mandò poi la città oppressa Imbasciadore a Massimiliano. Costui (proseguono) è il proavo di Pace, figliuolo d’un altro Piero; dal quale nacque il dì 17 Giugno del 1583, e da cui in età conveniente fu Pace avviato allo studio di Padova a coltivare il suo sommo ingegno, e ad apprender scienze. Sulle prime attese ivi Pace alla filosofia sotto Cesare Cremonino da Cento; ma istrutto sufficientemente si rivolse alla giurisprudenza, non già per professarla, siccome il padre voleva, ma per vaghezza piuttosto, e per ornamento. Anche in essa di corto fece tali progressi, che gli si offerse bentosto la Laurea del Dottorato: la egli la ricusò con costanza, e invece si applicò tutto e davvero alla lettura de’ poeti, alle matematiche, all’astrologia; e ripigliata però la scuola del suo Cremonino, ove perfezionossi nella fisica, e nella metafisica, si ridonò pien di dottrina alla Patria. Il vero è, che spargendo quì senza molta cautela e prudenza i condannati Dogmi appunto del Cremonino intorno all’essenza dell’anima, e si concitò contro l’odio dei cittadini, e provocò il rigore dei tribunali per modo, che dopo incontrate più liti, tribolazioni, e disavventure gli fu mestieri fuggir dalla Patria, e per un biennio (senza perdersi però mai di coraggio) viver esule in Zara, Capitale della Dalmazia. Su quel castigo peraltro si riconobbe, e riabilitato a conviver tra i suoi, frenò in appresso la lingua, migliorò i sentimenti, e divenuto con esultazione della città tutta circospetto e modesto, si accompagnò in matrimonio con un’onesta Donzella, che propagò la sua stirpe decorosamente. La Patria allora li impiegò in più Vicariati de’ suoi Castelli, ed in altre onorevoli cariche; e visse provveduto nobilmente, e tranquillo fino all’anno 1644; in cui nell’età di 62 anni morì in Padova, ov’era passato per tentar di rimettere la salute, logora già e cagionevole.

In occasion del suo esilio, e de’ suoi viaggi, contrasse amicizia col celebre Astronomo e Matematico Cesareo, Giovanni Kepplero, a cui scrisse alcune dotte lettere, che unite a quelle di Galileo Galilei, di Gianantonio Magiori, e di altri italiani, oltre le moltissime degli Oltramontani, che leggonsi negli atti di Lipsia, doveano aver luogo nella famosa edizione di tutte le opere del Kepplero, ideata in Danzica da Michele Gottliebe Hanschio, di cui ragiona il giornale de’ Letterati d’Italia.

Nelle ore d’ozio poi compose le altre cose che seguono, e delle quali diamo il frontespizio:

Rime Varie, & Gl’increduli, ovvero de’ rimedi d’Amore, Dialogo di Pace Pasini, dedicato al molto illustre Signor Conte Giacomo Godi. In Vicenza, appresso Francesco Grossi, 1612, in 12.

Un Trattato delle Metafore.

Novelle Amorose, che stanno con quelle degli Accademici Incogniti.

Poema prosa compositum, inscriptumque Eques pessumdatus.

La Relegazione. Canzone dedicata all’illustrissimo, e Reverendissimo Giovanni Ciampoli da Pace Pasini Vicentino. Stampa in Padova per Guaresco Guareschi nel 1629, in 4.

La Cleopatra moglie di Tolomeo Epifane. Tragedia riportata dagl’Incogniti, e lodata dal Tomasini.

Rime di Pace Pasini, divise in Errori, Honori, Dolori, Verità e Miscugli. Dedicate al Serenissimo Francesco Erizzo, doge di Venezia. In Vicenza 1617 per gli eredi di Francesco Grossi, in 12. Sono pag. 356 con la Dedicatoria dell’Autore.

Finalmente c’è di lui Sonetto al Co: Pietro Paolo Bissari nella superiormente citata, Pace Guerriera.

Avvì poi nella visiera alzata, Hecatoste di Scrittori, che vaghi di andare in maschera fuor del tempo di Carnevale sono scoperti da Gio: Pietro Giacomo Villani Sanese (cioè dal P. Angelico Aprosio da Ventimiglia), stampata in Parma, per gli eredi del Vigna 1689, in 12, avvi, dico, il seguente periodo:

Pace Pasini Poeta Vicentino si duole di una sua canzone, che ha per argomento: Amante Geloso sequestrato; e comincia:

Dunque da raggi onde’l mio cor s’alluma

Viverò lunge in tenebrosi horrori: e prosegue:

Veggasi a pag 25 delle rime stampate in Vicenza per gli H.H. di FrancescoGrossi, 1617 in 12: e parla ivi il Villani nella sua Pentecoste a proposito del Cavalier Giambattista Marini, che peraltro comparisce Plagiario senza sua colpa.

Nelle sullodate Glorie degl’Incontri sotto il ritratto di Pace si leggono questi versi:

Astra Physique Sciens, versu prosaque disertus,

Nomine Mens totus vaticinante vocor.

 

Questo il ramo genealogico presunto:

 

Pasino dal Pozzo (nel 1450 abbandona Milano per recarsi a Vicenza)

Pasino da Sovizzo

Pasini Pietro (1509 ambasciatore a Vicenza)

Pasini Pace (m. 1588)

Pasini Pietro (nato attorno al 1540) sp. Loschi ? Hortensia (test. 1567)

Pasini Pace (n. 1583 VI – m. 1644 PD) sp. Anguissola Laura, sp 2° nozze Cassandra

Figli: Sebastiano - Girolamo

 

Nel prezioso libro “Civiltà veneziana‎ -di Istituto di storia dell'arte (Fondazione "Giorgio Cini") – 1976” troviamo importanti informazioni che riguardano la ricostruzione genealogica dei Pasini di Vicenza e di Schio. Questo è introduttivo alla bibliografia di Pace Pasini, autore del romanzo “Historia del cavalier perduto di Pace Pasini. Questo è l’articolo per intero:

 

Giovanni Mantese – Il Manzoni e Vicenza, il “Cavalier Perduto” del vicentino Pace Pasini e “I Promessi Sposi”

 

Pace Pasini

 

Non è facile ricostruire la storia della famiglia vicentina dei Pasini e ciò perchè i suoi capostipiti possono essere stati più di uno come più di una erano certamente le famiglie vicentine che nei secoli XV-XVI avevano un membro chiamato Pace.

(Osservando le varie forme in cui si corrompe nei documenti il nome Pace, sembra che si sia arrivati al cognome Pasini attraverso i seguenti passaggi: Pace latinizzato in “Pacius”, corrotto poi in “Paxius” e “Paxinus” donde “de Paxinis”)

Quando il cronista vicentino Paglierini afferma che i Pasini di Vicenza derivano da un Pasino di Sovizzo, a parte la suggestione che in lui può ave esercitato il nome famoso di Vincenza Pasini cui si diceva fosse apparsa la Vergine sul Monte Berico, merita credito; in effetti i documenti testimoniano l’esistenza di una famiglia Pasini in Sovizzo nel ‘4-500. Ma nel cinquecento troviamo documentata un’altra famiglia Pasini che non proviene nè da Vicenza nè da Sovizzo, ma dalla Val Sabbia (BS) e si era stabilita a Schio.

(Arch. Not., Avicenna Francesco, alla data: 2 giugno 1571. “Magn.cus d. Stephanus q. Spect. Artium et medicine doctoris d. Jacobi de Magrade... investivit ser Franciscum q. Faustini Paxini de Oledo Vallis Sabie districtus Brixiensis... de duabus domibus... cum uno maleo”. Gli antenati di Lodovico e Valentino Pasini erano dunque lavoratori del ferro. Nel 1579 (29 agosto) a Schio, più precisamente a Pieve dove era il Maglio (in contrada Plebis Turrisbelvicini), detto Francesco nominava procuratore suo figlio Gio. Battista – Arch. Not., Baldo Baldi, alla data)

Dei Pasini di Vicenza si ha documentata memoria fin dalla seconda metà del sec. XV, epoca in cui visse il capostipite “Paxinus” il quale arricchitosi, non so come, chiese al cardinale Zeno, vescovo di Vicenza di potersi costruire una cappella nella sua possessione di Campiglia (Paverani).

(Arch. Not., Bart. D’Aviano, alla data 25 ottobre 1494. “Exhibita nobis peticio tua (di Pietro fu Pasino) continebat qualiter Paxinus quondam genitor tuus legavit quod per te in villa Pavarani pertenenciarum Campilie vinc. Districtus penes domum constructam per dictum Paxinum... ecclesia una cum domuncula...”)

Era il primo ingresso dei Pasini in quella splendida e solatia Riviera Berica nella quale un secolo più tardi un suo discendente, anche lui chiamato Pace, imposterà la trama del suo romanzo “Il Cavalier perduto”, il misterioso libro dal quale il Manzoni prenderà probabili stimoli per scrivere l’immortale suo capolavoro. La ricerca archivistica impostami permette di ricostruire documentatamente le linee sostanziali della discendenza del suddetto capostipite fino al nostro letterato Pace.

Il suddetto Piero fu Pasino nel 1509 compare nel numero dei cavalieri vicentini mandati dal Comune di Vicenza come oratori all’imperatore Massimiliano.

Nulla si conosce della vita e opera di un Pace figlio del suddetto Piero; si sa soltanto che in data 15 agosto 1588 era già morto e che suo figlio Pietro abitava o possedeva in contrà dell’Isola una casa data in affitto a Francesco Campiglia fratello della poetessa vicentina Maddalena Campiglia.

(In altri documenti si dice che la casa di Francesco Campiglia era situata “in contracta de Planculis” cioè oltre l’attuale piazza Matteotti sulla strada che va a ponte S. Paolo. Comunque, il documento suona così: “in contracta Insule... in domo Petri de Pasinis q. Pacis conducta ad affictum per magn.cum d. Franciscum Campilia (Arch Not., Gio Batta Vaienti q. Speranza, alla data).

E’ probabile che questa casa dell’Isola (attuale piazza Matteotti) sia stata la prima residenza dei Pasini dopo che ebbero ricevuta la “Civilitas” o cittadinanza vicentina.

Trovo infatti, sempre a proposito della cappella della contrà di Paverani, che in data 11 novembre 1589 detto Pietro fu Pace faceva rogare un atto pubblico nella sua casa situata in contrà S. Michele. Si tratta di un patrimonio dotale che egli fissava alla sua nuova cappella dedicata alla Madonna della Neve per assicurarle il regolare servizio religioso.

Questo Pietro (junior) fu padre del letterato Pace Pasini, autore del romanzo “Il cavalier perduto”. Si chiamava “Hortensia” (Loschi?) la moglie di Pietro (junior) ma dai documenti risulta che a quest’epoca esisteva un ramo della famiglia Pasini, parallelo a quello del Nostro. Trovo infatti che in data 19 gennaio 1669 Bartolomeo e Gio Battista q. Pietro residenti in Vicenza in contrà dell’oratorio dei Servi cedettero a certo Iseppo Preato parte del loro negozio di “canevo e lino”. Erano dunque mercanti e tale figura pure il loro fratello “Iseppo Pasini q. Pietro mercante nell’inclita dominante”. Questi in data 31 luglio 1672 fondò una mansioneria con messa quotidiana a S. Maria Nova dove era monaca una sorella Giustina (suor Gaetana) q. Pietro Pasini.

(Tutti i documenti si trovano in Arch. Not., Gio. Battista Pisani, alle rispettive date. Oltre a Bartolomeo, Gio. Batta, Giuseppe e Giustina, trovo ancora un altro loro fratello sacerdote: don Francesco fu Pietro Pasini).

Non si può ammettere che fossero fratelli del Nostro, il cui padre, anche lui chiamato Pietro, fece testamento nel 1567 in età ancora giovane: il figlio Pace non era ancora nato.

Ma prima di parlare del più illustre personaggio della famiglia Pasini, del quale gioverà ricordare subito le idee religiose poco ortodosse, fortemente influenzate dall’aristotelismo di Cesare Cremonino e del Pomponazzi, bisognerà dire una parola sopra un Alessandro Pasini luterano “che stava a Vicenza, natural de uno gentil’homo di Pasini”. Trattandosi di un figlio illegittimo, è difficile trovare per Alessandro il posto che gli spetta nell’albero genealogico Pasini. Penso però che sia figlio di Pace e fratellastro di Pietro (junior) e quindi zio paterno del letterato in questione. Va tenuto ben presente il nome di questo anabattista anche perchè, come è noto, da noi l’anabattismo si sviluppò sullo sfondo della tradizione razionalistica padovana. Inolte si può ritenere che il pensiero dello zio abbia esercitato un fascino sull’animo del nipote.

Questi, ossia Pace di Pietro (junior), nacque a Vicenza il 17 giugno 1583. Trattandosi di un coetaneo dello storico Francesco da Barbarano si può pensare che anche lui abbia compiuti i suoi studi a Vicenza col precettore Alessandro Lucidi o qualche altro “grammatice professor” di quegli anni. Portatosi a Padova subì il fascino, come si è detto, del razionalismo insinuatogli dal maestro Cesare Cremonini, dedicandosi con profitto ma senza costanza, allo studio della giurisprudenza, tanto da essere proposto per la laurea che però rifiutò per approfondirsi sulla filosofia aristotelica, sempre alla scuola del Cremonini. Ritengo che abbia concluso il suo periodo di studi a Padova intorno all’anno 1660-62, una decina d’anni prima che entrasse in quell’ateneo, per conseguirvi la laurea in giurisprudenza, il suddetto storico da Barbarano figlio “exc.mi iuris utriusque doctoris d. Drusi de Mironibus”.

Secondo il Calvi le idee razionalistiche assorbite dal Pasini all’università e dal medesimo propalate poi a Vicenza, quando vi fece ritorno, ne provocarono l’esilio e la sua relegazione a Zara. Sbaglierò ma la cosa non mi convince. Gli eretici non venivano banditi: il bando era la punizione riservata a delitti contro la società, specialmente agli omicidi.

E’ vero che l’esagerata prudenza da lui rilevata nel suo “Campo Martio ovvero le bellezze di Lidia” lo presenta sotto l’incubo di possibili sanzioniinquisitoriali. “Dichiaro – egli premetteva al suo scritto – che qualunque volta si trovasse fato, destino... io li ho posti solamente perchè il comune parlare n’è pieno... senza voler pregiudicare a buoni costumi, alla riverenza che si deve alle cose sacre et alla verità della nostra santissima fede et Religione Cattolica Romana”.

Proprio in quegli anni ad Arbe, poco lontano da Zara, si trova relegato Otto Thiene, il nobile vicentino che unitamente a Girolamo da Porto vendette o almeno fu invitato a vendere la sua casa sul Corso per la prima fondazione di un Collegio per i padri Gesuiti prossimi a fare il loro ingresso in Vicenza. Non saprei dire quanto sia durato il suo esilio in Dalmazia. Con certezza si sa che in data 22 luglio 1618 Pace Pacini (o Pasini) andò Vicario a nome della città di Vicenza, nel Vicariato civile di Orgiano ma già negli anni 1612 e 1614 stampava rime a Vicenza presso il Grossi. Può essere utile a sapersi che la zona di Orgiano nella seconda metà del sec. XVI fu interessata dalla presenza di arabattisti. Il 25 giugno 1630 ottenne dalla città lo stesso mandato per il Vicariato di Barbarano (25 giugno 1640). Conoscendo la scrupolosa serietà usata dal Consiglio Comunale nella nomina dei Vicari del territorio, si deve concludere che Pace Pasini, tornato dall’esilio nei primi anni ‘600, diede buone prove di vita seria e responsabile.

In data 16 agosto 1627, all’età di 44 anni, sposò la nobile vicentina Laura Anguissola, e va rivelato che alla sacra cerimonia presenziò in qualità di “comprare l’anello” il ben noto architetto vicentino Ottavio dei Bruni di Revese.

Se non erro, detta Laura era sorella di Alfonso q. Gio. Giacomo Pelo Anguissola, autore del poema “L’albergo degli infelici amanti” (Venezia 1587) ristampato nel 1602 dall’Angeglieri.

Non ho documenti per pronunciarmi sulla buona riuscita o meno di detto matrimonio, ma è certo che Pace Pasini intorno al 1635, quando già aveva toccato la cinquantina, sposò in seconde nozze una certa Cassandra non meglio specificata, popolana, probabilmente. Questo fu certamente un felice matrimonio che rese il Nostro padre di due figli maschi: Sebastiano e Girolamo ancora “pupilli” nel 1651 come pare da atto pubblico rogato a nome di Cassandra in quella casa dominicale costruita un secolo prima dall’antenato, “Paxinus” nel Paverano (Campiglia).

Il Nostro era già morto da sette anni, se risponde al vero la data di morte del 1644 tramandata da Calvi. Il documento in parola riguarda un affitto di 50 campi, ma non trovo altri documenti che ricostruiscano la discendenza di Pace Pasini nei due figli Sebastiano e Girolamo.

Secondo il Calvi, egli sarebbe morto a Padova dove si era ritirato per curare meglio certi suoi acciacchi. Si dovrà pensare che dopo la sua morte la moglie Cassandra e due figli abbiano trasferita la residenza a Padova? In tal caso però non si spiega la continuazione della linea di Vicenza in un “Pasinus” che potrebbe (me è solo un’ipotesi azzardata) essere preso nel senso di Pace e identificato col Nostro; oppure si potrebbe pensare che detto Pasini sia nato dal primo matrimonio di Pace con la nobile Anguissola; ma anche quì l’ipotesi non sembra verosimile. Forse è più ovvio ritenere che accanto al ramo dei Pasini della linea del nostro Pace se ne sia sviluppata un’altra oppure che si sia estesa a Vicenza, per motivi di interesse, la linea di Schio. Di tale linea si è visto che nel 1579 vivevano Francesco e un figlio di nome Gio. Battista. Il sepolcro non datato di un Francesco Pasini è documentato dal Faccioli. Se tale inurbamento del ramo dei Pasini di Schio risponde a verità si dovrebbe ritenere che Gio. Battista fu Francesco ebbe un figlio di nome Pasino il quale fu padre del filosofo e medico Gio. Battista Pasini laureatosi a Padova il 22 dicembre 1685.

Dal suo matrimonio con una certa Lucetta, non meglio specificata, ebbe almeno un figlio di nome Giuseppe, morì nell’aprile 1695 e in data 23 di detto mese il notaio Gio. Marcantonio Gatti ne eseguiva l’inventario degli oggetti conservati nelle sue residenze l’una presso l’oratorio dei Servi e l’altra all’Anconetta.

Il Pasini ebbe amicizie con letterati e scienziati anche famosi d’Italia: fu in corrispondenza con l’astronomo Giovanni Keplero ed è autore di parecchie rime oltre ad un trattato sulle metafore. Ma l’opera sua più ponderosa è la “Historia del cavalier perduto” (Venezia Valvasense 1644) dedicata a Gio. Francesco Loredano capitano di Vicenza negli anni 1638-1640.

 

Dunque, Pasini Pace rimane a noi famoso soprattutto per la vicenda legata al romanzo del Manzoni.

Lo studioso Giovanni Getto, giovane titolare della cattedra di letteratura italiana all’università torinese, ha fatto una scoperta singolare che ha messo in subbuglio il mondo fitto e polemico dei manzoniani.

Giovanni Getto frugava negli scaffali della Biblioteca nazionale di Torino. Doveva preparare un corso, per la Fondazione Cini, sulla civiltà veneziana del ’600. Era la prima volta, probabilmente, che quei volumi ch’egli andava raccogliendo venivano degnati di attenzione: erano romanzi da quattro soldi, fumettoni scritti nella prosa dei marinisti da strapazzo. Proprio quella, fra l’altro, così argutamente derisa da Alessandro Manzoni nella “Introduzione” al romanzo suo. Ma perché Giovanni Getto cercava questi libri? Per scoprire la continuità della narrativa italiana, per seguire il filo con cui il romanzo italiano ha attraversato sei secoli per approdare al Manzoni. Fra gli altri, dunque, nelle mani del professor Getto capitò un volume rilegato in pergamena, stampato a Venezia nel 1644, che s’intitolava Historia del Cavalier Perduto. L’autore era un certo Pace Pasini, vicentino. Il professor Getto si mise pazientemente a leggerlo. Furono i primi capitoli a colpirlo: il romanzo raccontava la storia di una Luciana amata da Druso, la quale veniva rapita dal potente Strappacuori e affidata ad una Agnese. Lo Strappacuori abitava un misterioso castello, protetto da bravi dai nomi granguignoleschi. La povera Luciana riusciva però a fuggire. Infine arrivava la peste.. Eccetera. Giovanni Getto si fece attento. Riprese la lettura da capo, sostituendo mentalmente Lucia a Luciana, e Fermo a Druso: le analogie tra il fumetto di Pace Pasini con la prima stesura dei Promessi Sposi, quella che si conosce sotto il titolo di Fermo e Lucia, erano innegabili, anzi sorprendenti.

I venticinque lettori dei Promessi sanno che il romanzo comincia con uno scampolo di prosa seicentesca: “L’Historia si può veramente definire una guerra illustre contro il Tempo...”. Poi l’autore, quasi perduta la pazienza di trascrivere tali fiori, l’interrompe a mezzo, e spiega di avere trovato un manoscritto anonimo del Seicento, con una storia “molto bella”: così bella, dice, che sarebbe un peccato non farla conoscere. Ma come mantenerla nella forma originale, di cui ha dato un saggio, e che risulta a tal punto illeggibile? Eccola. Dunque, “rifatta” in prosa moderna e senza tanti fronzoli, pur conservandone il sugo: così conclude il Manzoni. Ma non ci fu mai critico o letterato al mondo che abbia dato credito a questa “elegante invenzione” di un anonimo inesistente, e i commenti delle edizioni e i professori di tutte le scuole insegnano ancor oggi che in queste pagine il Manzoni ha voluto atteggiarsi in un amabile giochetto letterario, inventando lui sia l’anonimo sia il campione di prosa marinista. Nessuno, d’altra parte, si è mai posto seriamente la domanda del perché il Manzoni abbia escogitato questo trucco piuttosto inutile, e perché abbia poi ripetutamente citato il suo anonimo per tutto il corso del romanzo.

Giovanni Getto ha scoperto che l’anonimo si chiama Pace Pasini. I raffronti tra l’Historia del Cavalier Perduto, Fermo e Lucia e i Promessi Sposi hanno mostrato che le analogie non si fermano alla linea generale del racconto, ma si estendono ai dettagli, in una fitta rete di rispondenze. Ecco qualche esempio. “Tradimento, tradimento!” grida un bravo di Strappacuori, quando Luciana gli scappa... e “Tradimento, tradimento!” grida don Abbondio nel Fermo e Lucia durante la notte degli imbrogli. E la scena che segue (tutti accorrono e trovano un gran silenzio, come niente fosse successo) è quasi gemella. Quando Luciana s’è involata, Strappacuori misura furibondo a grandi passi, come don Rodrigo, una sala del suo castello. Un servo va a spiare le mosse di Luciana travestito da mendicante, così come il Griso si presenta alla casetta di Lucia per studiarne la disposizione. Il rapimento di Lucia avviene in carrozza, e quello di Luciana in barca: però nel Fermo e Lucia la contadina veniva fatta passare dalla carrozza a una barca. E così via.

Le analogie tra il romanzo barocco e la prima stesura dei Promessi Sposi sono fitte, ma ancora più fitte, in certi punti, sembrano quelle con l’edizione definitiva, tanto che il professor Getto avanza l’ipotesi che il Manzoni abbia riletto l’Historia fra l’una e l’altra stesura.

Non si tratta, è chiaro, di un’imitazione, e nemmeno di una derivazione, nel senso poetico, ma piuttosto di un riferirsi preciso dell’autore moderno alla testimonianza di un autore contemporaneo ai fatti narrati. Il Manzoni si era preparato con cura al suo romanzo storico, e aveva letto e riletto numerosi testi secenteschi. Il vero titolo del suo libro, si ricordi, è “I Promessi Sposi: storia milanese del secolo XVII scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni”. Egli voleva rimanere fedele a dei personaggi, a un ambiente, a un clima. “Con questo”, scrive il professor Getto, “non si vorrà ridurre non dico l’Historia del Cavalier Perduto come romanzo, ma nemmeno un semplice episodio di esso a una “fonte”. Si vuole solo cogliere un’eco, un susseguirsi di echi operanti nella mente del Manzoni durante la stesura di alcune pagine del suo romanzo”.

Così il terribile Strappacuori diventa mezzo Innominato e mezzo don Rodrigo, così la luna che illumina la fuga di Luciana è un poco quella che rischiara il sagrato di don Abbondio e un poco l’altra che accompagna Renzo in fuga verso l’Adda; e le due fughe (di Luciana e di Renzo) vanno a braccetto insieme con la notte degli imbrogli. Ma questi, taglia corto Giovanni Getto, sono detriti: l’opera d’arte ne rimane al di là e al di sopra.

Ma che dire della vera e propria pagina secentesca che sta al principio dei Promessi Sposi, di questa esercitazione, come è stata creduta fino a oggi, d’un romanziere in vena di malizie? L’oscuro Pace Pasini, nella dedica della sua Historia del Cavalier Perduto, si arrovella in formule d’eleganza, e tra una similitudine e un’immagine tira in ballo il sole, i pianeti, la sostanza e gli accidenti. Ebbene. l’“invenzione” manzoniana parla della “Maestà del re cattolico che è quel Sole che mai non tramonta”, parla degli “altri Spettabili Magistrati qual’erranti Pianeti”, e arriva alla “sostanza” della Narrazione e ai purissimi “accidenti”.

Si può esser certi che il Manzoni abbia avuto tra le mani questo romanzo barocco? Il dubbio non è più lecito, afferma il professor Getto: sarebbe un caso “addirittura miracoloso” che due autori senza essersi letti, e con una tanto diversa mentalità e capacità artistica, si siano trovati su un cammino così frequente d’incontri. Per di più sappiamo di quelle assidue letture del Manzoni per prepararsi alla sua “storia milanese, scoperta e rifatta”.

Un altro passo sarebbe da fare, a questo proposito: condurre nelle biblioteche storiche (quelle frequentate dal Manzoni) la medesima ricerca che ha fatto in quella torinese Giovanni Getto. Tra gli scaffali polverosi che conservano i romanzacci barocchi, non richiesti in lettura da almeno due secoli, potrebbe esserci la copia dell’Historia del Cavalier Perduto che il Manzoni potè avere, e forse qualche Historia un poco diversa, di altro autore, ma capace anch’essa di far luce sulle vere origini letterarie del capolavoro della nostra narrativa. Che l’“anonimo lombardo” sia il vicentino Pace Pasini, è fortemente sospetto, ma non ancora certissimo. Di certo sappiamo che le origini di Pace Pasini sono sicuramente milanesi. Comunque, si è arrivati alla fonte.

 

Tornando indietro nel tempo, addirittura agli inizi del quindicesimo secolo, proprio nel vicentino è accaduto un episodio che ha lasciato un ricordo indelebile in tutta la città. Si tratta della Storia di Monte Berico che ora narriamo.

Nei primi decenni del 1400, imperversava a Vicenza una pestilenza ostinata, importata dai soldati nella guerra tra la Repubblica Veneta ed i Visconti di Milano.

II 7 maggio del 1426, come ogni giorno, una certa Vincenza Pasini, malgrado i suoi settanta anni, si recava a Monte Berico per portare del cibo a suo marito Francesco che lavorava in una piccola vigna sul colle.

Ma quel giorno non doveva essere uguale a tutti gli altri: giunta in prossimità di una croce d’ulivo di fronte alla quale era solita pregare, infatti la donna fu testimone di una serie di fenomeni destinati a lasciare un segno nella città di Vicenza.

Tra un bagliore di luce e alcuni suoni misteriosi, apparve, profumando l’aria, un'immagine con vesti d’oro luminosissime.

La povera donna, sconvolta, cadde a terra sbalordita, ma l’apparizione la rincuorò rivelandosi e, poggiandole la mano sulla spalla destra, le disse di andare in città e convincere i vicentini a costruire un tempio nel punto in cui la Vergine si era manifestata, e che se i vicentini avessero scavato, in quel luogo ne sarebbe scaturita una sorgente; infine, prese la Croce di rami d’ulivo, tracciò con essa il perimetro del tempio richiesto e, dopo aver detto che coloro che vi fossero recati in preghiera la prima domenica del mese, avrebbero ricevuto delle grazie, piantò per terra la Croce e scomparve.

La donna divulgò subito la notizia in città, parlandone anche con il Vescovo, ma non venne creduta. Questa incredulità durò due anni, precisamente fino al 2 agosto 1428, quando la Vergine, riapparendo a Vincenza, rinnovò l’appello.

Questa volta il Vescovo e le autorità importanti della città decisero di effettuare un sopralluogo a Monte Berico, dove effettivamente constatarono il solco ancora inspiegabilmente integro tracciato dalla prima apparizione.

Il 25 agosto si decise quindi di avviare i lavori di costruzione del tempio; al tempo stesso, venne effettuato uno scavo nel luogo preciso indicato dalla Vergine, e da lì, come promesso, scaturì una fonte d’acqua, che tra l’altro contribuì al fabbisogno dei lavori di costruzione.

In coincidenza con questi fatti la peste diminuì sensibilmente, per poi in breve tempo scomparire del tutto dalla città. Inoltre, l’acqua stranamente scaturita risultò dai poteri miracolosi, guarendo chi la beveva: questo prodigio durò 81 anni, esattamente fino a che la fonte si seccò improvvisamente quando venne condotto un cavallo malato che guarì.

La costruzione al principio rappresentava una primitiva chiesetta, nucleo originario di quello che, con successivi ampliamenti, sarebbe diventato il più bello ed importante Santuario mariano del Veneto: quello “della Madonna di Monte Berico”.

La Basilica-Santuario è oggi costituita dall’insieme di due chiese: una di stile gotico, completata nella seconda metà del 1400; l’altra, di stile barocco, ampliata e completata da un certo Borella, dopo un primo ampliamento su disegno del Palladio (1576).

Tornando a parlare di Vincenza, come è scritto nel libro di Todescato, essa era chiamata la fortunata veggente. Proveniva da una famiglia dei Paxini o Pasini, che a quell’epoca in diversi nuclei familiari abitavano nei paesi vicini, ed erano agricoltori che coltivavano i propri o gli altri campi “ad partem”.

 

Nel libro Miscelanea di storia veneta – tomo V – anno 1899 – serie seconda si narra delle origini e della storia dei Pasini di Vicenza. Di seguito quanto scritto:

Venne a Vicenza da Milano con Pasino Dal Pozzo nel 1350, se crediamo alle Glorie degli Incogniti. Pagliarino la dice venuta a' suoi tempi da Creazzo. Fu ascritta al Consiglio Nobile di Vicenza, dove nel 1510 avea un posto.

Aveva sepolcri ai Carmini, agli Scalzi e a S. Biagio.

A donna Vincenza Pasini appariva nel 7 Marzo 1426 e nel 2 Agosto 1428 sul Monte Berico, dove stava pregando, la Vergine Madre di Dio, comandandole di annunziare ai Vicentini di fabbricarle in quel luogo una chiesa, se volevano esser liberati dalla peste che devastava le loro contrade. Della prodigiosa apparizione si conserva nella patria Biblioteca un documento ben più prezioso che l'autorità spesso vacillante di tutti i cronisti e gli storici cittadini, il processo originale del memorando avvenimento, composto due soli anni dopo, per ordine di coloro che presiedevano alla pubblica cosa, dal dottissimo giureconsulto Giovanni da Porto, e dichiarato vero in ogni sua parte dai notai della città, e dalla giurata testimonianza di moltissimi cittadini e forestieri. Il corpo della Ven. Vincenza Pasini, morta nel l43l, sepolto dapprima nel cimitero comunale e in seguito trasportato nel monastero d'Ogni Santi nel sepolcro costruito appositamente, venne finalmente trasferito nel Santuario di Monte Berico, dove si conserva tuttora presso l'altare della Madonna. Nella ricognizione del corpo fatta dal celebre medico Alessandro Massaria, fu constatato che l'osso della spalla destra per l’impressione miracolosa fatta dalla mano della Vergine, era ancora molle e rubicondo.

Pietro fu nel 1509 inviato ambasciatore dai Vicentini all'Imperatore Massimiliano. Pasini Pace, suo figliuolo, filosofo e poeta, dovette subire due anni d'esilio in Zara per le sue torie opinioni in filosofia. Fattane ammenda ritornò in patria e fu Vicario in vari Castelli del Vicentino. Morì nel l64l sessantenne. Le sue lettere meritarono d'essere impresse con quelle di Galileo Galilei e di altri nella famosa edizione delle opere di Keplero.

LIBRO "LE FAMIGLIE PASINI"
LIBRO "LE FAMIGLIE PASINI"
LISTA EXCEL PASINI
LISTA EXCEL PASINI
LISTA TESTAMENTI PASINI IN VENEZIA
LISTA TESTAMENTI PASINI IN VENEZIA
FAMIGLIE BENETTI
FAMIGLIE BENETTI
FAMIGLIE CEOLA
FAMIGLIE CEOLA
FAMIGLIE FURLANETTO
FAMIGLIE FURLANETTO
FAMIGLIE PASTORI
FAMIGLIE PASTORI
FAMIGLIE PAVAN
FAMIGLIE PAVAN
FAMIGLIE PIERACCINI
FAMIGLIE PIERACCINI
FAMIGLIE TREVISAN
FAMIGLIE TREVISAN